Federorafi, bene il 2024, ma sul 2025 pesa l’interrogativo dazi

 Piaserico: “Il congelamento di 3 mesi dell’ulteriore applicazione del +10% dei dazi aggiuntivi, se è una “boccata di ossigeno” per il settore, certamente non scongiura l’effetto “frenata

Il 2024 si è confermata annata positivamente in scia con il 2023, facendo registrare dati in crecita per il settore orafo. Ritmi vivaci e nella crescita dell’export +41,0% per un totale di 15,5 miliardi di euro, sostenuta dai rialzi delle quotazioni dei metalli preziosi e, soprattutto, dal permanere della performance “anomala” della Turchia. Quest’ultima sale infatti al primo posto (34,5% del totale) dal quinto occupato nel ranking dell’anno 2023; al secondo posto, con un’incidenza del 9,0%, si collocano gli Stati Uniti: nonostante presentino una flessione delle vendite pari al -6,6% rispetto al medesimo periodo del 2023, hanno chiuso l’anno con 1,4 miliardi di euro. Al terzo posto si conferma la Svizzera con 1,3 miliardi di euro, con un -15,1% rispetto al 2023, segnale del progressivo rallentamento nel segmento “lusso”. Quarti gli Emirati Arabi Uniti che registrano, invece, un aumento del +10,6%. Le vendite destinate in Francia, patria delle grandi maison del lusso, occupano il quinto posto tra i Paesi di sbocco.

Claudia Piaserico, Presidente di Confindustria FEDERORAFI, commenta così i risultati consolidati: “I dati del 2024 sono in linea con le caute previsioni che avevamo fatto. Al netto dell’incidenza delle quotazioni record delle materie prime preziose – Oro in euro 2023 su 2024: +23% e Argento in euro 2023 su 2024: +21% -, le performance dell’export, che rappresenta il 90% dell’intero fatturato settoriale, si attestano in termini di quantità appena sopra i livelli del 2023 rispetto ai dati in valore ISTAT dove il +41% è appunto condizionato dalla materia prima preziosa. Questo trend rialzista nelle quotazioni sta oltretutto proseguendo nel 2025 alimentato non solo dalle guerre in atto ma anche dalla vicenda dei “dazi USA”.



Per quanto riguarda i maggiori distretti del settore per l’export 2024, Arezzo mette a segno un +119,3% rispetto al 2023, mentre si posiziona seconda la provincia di Vicenza con un aumento del +14,9%. In terza posizione Milano, davanti ad Alessandria. L’export del distretto produttivo di Napoli e Caserta mostra, invece, una variazione nella misura del +1,0% .

Claudia Piaserico

Il settore è fortemente danneggiato per un doppio impatto: sull’incremento delle quotazioni e per la penalizzazione delle vendite sul mercato USA che assorbe la significativa quota di 1,4 miliardi di euro annui! Il congelamento di 3 mesi dell’ulteriore applicazione del +10% dei dazi aggiuntivi, se è una “boccata di ossigeno” per il settore, certamente non scongiura l’effetto “frenata” che è già in atto e che si avrà ancor più a partire quindi dal 9 luglio quando scatterà l’ulteriore aumento arrivando al 25-28%!

©reuters.com

Cosa attenderci per il 2025? Il nostro Paese, con esportazioni verso gli Stati Uniti che ammontano a circa 68 miliardi di euro nel 2024, considerando tutti i settori, è particolarmente esposto agli effetti dei dazi e per quanto riguarda il settore orafo l’attenzione si concentra su alcuni punti nodali: il prezzo delle materie prime, la marginalità e la conseguente tenuta delle PMI. Come fa ben notare ancora Piaserico: “Il settore è fortemente danneggiato per un doppio impatto: sull’incremento delle quotazioni e per la penalizzazione delle vendite sul mercato USA che assorbe la significativa quota di 1,4 miliardi di euro annui! Il congelamento di 3 mesi dell’ulteriore applicazione del +10% dei dazi aggiuntivi, se è una “boccata di ossigeno” per il settore, certamente non scongiura l’effetto “frenata” che è già in atto e che si avrà ancor più a partire quindi dal 9 luglio quando scatterà l’ulteriore aumento arrivando al 25-28%! La stragrande maggioranza delle 7.000 imprese del settore sono PMI e unbranded e quindi con produzioni che hanno margini non elevati soprattutto se rapportati al valore della materia prima contenuta nei monili. Si calcola che su un prodotto finito la materia prima (es. oro) incida anche per il 90% del prezzo totale di vendita e, pertanto, il dazio, calcolato sul totale (materia prima + valore aggiunto), impatta in modo rilevantissimo sui margini dell’impresa, a discapito conseguentemente non solo delle risorse per investimenti e R&D ma della stessa capacità di remunerare i propri dipendenti. Proprio per queste ragioni l’incremento delle tariffe doganali USA ha un effetto molto importante sui prezzi di vendita in USA dei gioielli. Sull’oreficeria più “popolare” oltreatlantico il dazio già oggi (5/8%) può erodere fino al 75% del valore aggiunto e con gli aumenti di luglio quadruplicherà l’impatto sul margine di una PMI orafa italiana che dovrà quindi intervenire in modo significativo sul prezzo di vendita (si stima del +40%) per garantire quei margini indispensabili per remunerare le sue attività. Per queste ragioni la ricaduta degli aumenti tariffari sul prezzo di un prodotto di oreficeria e quindi sul consumatore americano è molto più elevata rispetto ad altri manufatti made in Italy. Un esempio: una catenina da 5 grammi di oro a 18kt oggi viene acquistata dal consumatore statunitense (al netto di altre tasse locali o federali e dei ricarichi della distribuzione) a circa 440 USD; con i nuovi dazi, la stessa catenina, per garantire all’impresa orafa italiana l’identico valore aggiunto “pre-aumenti”, dovrebbe essere venduta ad almeno 640 USD, ovvero con un aumento del prezzo di oltre il +45%. Aumenti improponibili per il cliente finale medio a stelle e strisce che ha sempre ammirato ed apprezzato il gioiello italiano ma che sarà meno disposto a sopportare l’escalation del prezzo di vendita. Abbiamo attivato una importante interlocuzione con il nostro Governo e con il Ministero degli Affari Esteri e confidiamo che l’attività diplomatica e le nuove risorse a sostegno delle nostre PMI riescano a dissipare, almeno in parte, le incognite sul futuro prossimo dell’oreficeria made in Italy”.


Per queste ragioni la ricaduta degli aumenti tariffari sul prezzo di un prodotto di oreficeria e quindi sul consumatore americano è molto più elevata rispetto ad altri manufatti made in Italy. Un esmpio: una catenina da 5 grammi di oro a 18kt oggi viene acquistata dal consumatore statunitense (al netto di altre tasse locali o federali e dei ricarichi della distribuzione) a circa 440 USD; con i nuovi dazi, la stessa catenina, per garantire all’impresa orafa italiana l’identico valore aggiunto “pre-aumenti”, dovrebbe essere venduta ad almeno 640 USD, ovvero con un aumento del prezzo di oltre il +45%



https://www.federorafi.it/


Federorafi: Positive Outlook for 2024, but 2025 Clouded by Tariff Uncertainties

The Italian jewelry sector continued its positive trend into 2024, following strong 2023 results. Exports grew by 41%, reaching €15.5 billion, driven by higher precious metal prices and exceptional performance from Turkey, now Italy’s top destination (34.5% of total exports). The U.S. ranks second (9% share), despite a 6.6% sales decline, closing 2024 with €1.4 billion. Switzerland holds third place with €1.3 billion but shows a 15.1% drop, signaling a slowdown in the luxury segment. The UAE saw a 10.6% export growth, while France ranked fifth.

Claudia Piaserico, President of Confindustria FEDERORAFI, emphasized that although the sector’s export value surged (+41%), the actual quantity exported barely exceeded 2023 levels — highlighting the impact of soaring raw material prices (gold +23%, silver +21%). This upward price trend is expected to continue in 2025, fueled by ongoing conflicts and the looming issue of U.S. tariffs.

Among Italy’s key jewelry districts, Arezzo led export growth (+119.3%), followed by Vicenza (+14.9%), Milan, and Alessandria. The Naples-Caserta area recorded a modest +1.0%.

Looking ahead to 2025, concerns grow over U.S. tariffs, as Italy exported about €68 billion worth of goods to the U.S. in 2024 across all sectors. The jewelry sector is particularly vulnerable due to its reliance on exports (90% of turnover) and its exposure to raw material costs, which make up as much as 90% of the jewelry’s final sale price. New tariffs could sharply erode profit margins, with small and medium-sized enterprises (SMEs) — the sector’s backbone — most at risk.

Currently, tariffs of 5–8% already reduce value-added margins by up to 75% on lower-end jewelry; July’s scheduled increases (up to 25–28%) could quadruple this impact. As a result, prices for Italian jewelry in the U.S. may need to rise by up to 40–45%, which could alienate consumers. For example, a gold chain currently selling for $440 could rise to $640, making such price hikes unsustainable for the average American buyer.

Federorafi is actively engaging with the Italian government and the Ministry of Foreign Affairs, seeking diplomatic and financial support to mitigate these challenges and safeguard the future of Italy’s jewelry industry.


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