Passaggio generazionale, cosa succede in gioielleria?

Aziende del lusso, retail, società e PMI. Nessuna realtà imprenditoriale può considerarsi esonerata dalla necessità di affrontare il passaggio generazionale. Si tratta di un momento delicatissimo da affrontare sia per l’impresa che per l’imprenditore in procinto di “lasciare”. È proprio questa la sensazione che la maggior parte dei senior provano quando passano il testimone al successore, che sia esso il figlio, un nipote, un manager scelto ad hoc. L’attaccamento (più che comprensibile) delle prime e seconde generazioni alla propria attività, costituisce in alcuni casi, la ragione principale per la quale, questa scelta, viene via via rimandata. La paura che si crei una frattura tra il progetto originale e la nuova visione, tra il sistema valoriale di fondazione e l’adeguamento dello stesso alla contemporaneità, sono solo alcuni degli scogli da superare. Bisogna chiedere a un sistema, che aveva trovato un punto di equilibrio, di abbandonare lo status quo verso una terra promessa. 

Emanuele Sacerdote

Ci sono però alcune strategie che possono rendere questo percorso non solo semplice da affrontare ma anche incredibilmente formativo. Ce ne parla nel dettaglio Emanuele Sacerdote, imprenditore e consulente strategico, facilitatore dei passaggi generazionali, un concetto affrontato nell’ambito dell’incontro “Continuità aziendale No Shock’ – Come se non ci fosse un domani” nell’ultima edizione di Vicenzaoro organizzato da Federpreziosi Confcommercio Imprese per l’Italia; attraverso il racconto della famiglia Cisternino – Pina, Fabrizio e Simone – gioiellieri in Brindisi, che sta affrontando il delicato passaggio.

La Famiglia Cisternino

«La mia formazione professionale è avvenuta in aziende del lusso come Zegna e Ferrari, mi sono occupato del marketing del brand di Levi’s e poi ancora di gestione del business e di retail, fino a quando, a 45 anni, ho ereditato dalla mia nonna una quota dell’azienda di famiglia (la Strega Alberti di Benevento). È in questo momento che ho preso contatto con una realtà che conoscevo solo attraverso i racconti dei miei genitori. Ho quindi iniziato a conoscere anche quella parte della mia famiglia, passando dall’essere manager a diventare imprenditore. Avendo quindi vissuto sulla mia pelle il significato concreto di “passaggio generazionale”, nel 2015 ho deciso di aprire una micro boutique di consulenza che aiuta le aziende nella goverance strategica del cambiamento attraverso l’applicazione di modelli, la somministrazione di test e l’osservazione», ci spiega Sacerdote.

Lei si paragona alla figura del medico di famiglia applicato al business. Cosa significa?

«Il passaggio generazionale è un tema molto complesso nel quale giocano, in percentuali diverse, fattori come gli affetti, i soldi, il business, la crescita, l’emotività. Così come avviene quando non ci sentiamo bene e andiamo dal medico per un consulto, sono gli imprenditori stessi che, riconoscendo di avere un “problema”, si rivolgono a me, al consulente. In questo modo si attivano i processi corretti per procedere con l’anamnesi, l’osservazione e lo studio di un percorso che accompagni azienda e persone ad accettare il cambiamento». 

Quali sono gli errori più comuni che si commettono quando ci si trova in procinto di fare questo passaggio di testimone?

«Il primo grandissimo errore è il pregiudizio di onnipotenza. Frasi come “a me non succederà mai e se dovesse verificarsi sarò in grado di gestire” sono nemiche della soluzione. Per questo la prima lezione è “anticipare” per non trovarsi in ritardo. Il passaggio generazionale è infatti un percorso che prevede tempi molto lunghi e questa è una variabile sottovalutata. Ecco perché, decisi “erede e necessità” dell’azienda deve iniziare a trasferire valori, competenze, definire i patti di famiglia e le governance. Non bisogna poi dimenticare che il futuro non sarà come il passato o il presente, e che attivare processi imitativi di ciò che si è fatto negli anni precedenti, potrebbe essere deleterio: il perimetro non rimane sempre uguale ma muta, si evolve, si scorpora o si ingrandisce. La repica quindi non sempre funziona e il più delle volte limita. Molto importante poi è la formazione del Junior: se vogliamo sia efficace, deve avvenire fuori dall’azienda di famiglia, a contatto con le vere dinamiche del business e dello sviluppo di progetti».

Il mondo dell’oreficeria è caratterizzato da una forte componente valoriale che affonda le radici nelle origini del brand. Valori che si tramandano e che rappresentano il DNA aziendale. Questo come si combina con il passaggio generazionale e la propensione al cambiamento?

«Il patrimonio identitario da trasferire è indispensabile. Qualora l’erede lo raccogliesse tout court sarebbe un fattore positivo a patto che diventi generativo e non autoconservativo. L’erede dovrà comunque portare delle innovazioni in azienda e nel business e il mondo dei preziosi non è esonerato dai cambiamenti socio economici. L’evoluzione o l’involuzione del mercato condizioneranno la prossima generazione, che dovrà sforzarsi di capire come impostare i nuovo modello di attività. Non va poi dimenticato che il family business italiano è molto condizionato dal senso di appartenenza ad una comunità, ad un territorio, ad una storia famigliare e l’habitat che circonda la sede aziendale influenza la componente identitaria del brand. Tutto questo funziona nella misura in cui diventa una leva verso l’evoluzione, l’innovazione di prodotto e lo sviluppa delle forme di comunicazione in chiave contemporanea».

Esiste un momento giusto per lasciare l’azienda nelle mani dei prosecutori? 

«In realtà ogni momento è giusto a patto che senior e junior siano pronti. Il senior deve spossessarsi del senso di proprietà e mettersi in una condizione di regno e non più di governo, lasciando i processi di gestione agli eredi. Questo non significa “abbandonare” ma lasciar fare, agire come un bravo coach, stando due passi indietro a osservare e, solo in caso di bisogno, consigliare. Il capostipite deve anche limitare la presenza in azienda per fare il bene dell’azienda stessa. Il junior invece deve dimostrare di voler uscire dalla zona di confort per assumersi pesanti responsabilità. Deve “imparare a nuotare”. Una strategia potrebbe essere quella di dare in gestione uno spin off o una strat up legata all’azienda ma autonoma». 

La figura del consulente quanto conta nella buona gestione di un passaggio generazionale?

«Io sono un consulente atipico perché arrivo dal mondo dell’imprenditoria, ho vissuto sulla mia pelle questo cambiamento quindi posso dare una visione diversa da chi invece su basa sulla teoria. Quando vengo interpellato, oltre a passare molto tempo con i miei clienti, anche in situazioni non professionali come un aperitivo o una cena, mi dedico molto all’osservazione delle dinamiche interne all’azienda e all’ascolto di tutte le parti coinvolte nel porcesso. Si passa poi alla fase operativa, somministrando test di imprenditorialità o di identità cognitiva. Spesso lavoro in tandem con degli psicologi, suggeriamo progetti di team building, valutiamo le personalità e ne mettiamo in risalto le peculiarità: non tutti sono portati per fare il manager o il frontman: il ruolo del consulente è quello di far trovare a tutti la posizione migliore per il bene dell’azienda, valorizzando ogni singola identità».


Fin qui il passaggio generazionale analizzato da chi, per professione, lo favorisce con strumenti e analisi. Ma quali sono le esperienze dirette di chi, questa evoluzione, la sta affrontando in prima persona? 

«Io seguo le mie figlie dietro le quinte, senza invadere mai il campo e loro hanno grande rispetto per il mio ruolo di “consigliere”»

Giuseppe Aquilino
Presidente Federpreziosi Confcommercio

Antonella, Giuseppe e e Rossella Aqulino

«Il mio passaggio generazionale è stato affrontato con grande serenità e fluidità», spiega il Presidente di Federpreziosi. «Oggi l’azienda è gestita dalle mie figlie. Mio padre aveva fatto la stessa cosa con me, affidandomi le redini dell’azienda e aiutandomi a condurla con passione e intelligenza. Sono le mie figlie che portano avanti l’azienda. Io le seguo da dietro le quinte, senza invadere mai il campo ma loro hanno grande rispetto per il mio ruolo di “consigliere”. Il passaggio generazionale rappresenta un momento vitale per ogni impresa perché è indispensabile alla sua prosecuzione. Se non si affronta si corre il rischio di arrivare tardi sull’evoluzione dei mercati e quindi di chiudere ma, soprattutto, non si offre la possibilità alle nuove generazioni di scegliere se e come continuare con l’azienda di famiglia, e si dà per scontato il loro ingresso, quasi come gesto dovuto nei confronti della famiglia».  

Presidente, cosa direbbe agli imprenditori che temono il passaggio di testimone?

«Non abbiate paura di affidarvi ai giovani. La formazione (sia teorica che sul campo) è importantissima. L’abbiamo fatta tutti noi. È alla base del nostro mestiere. Come tutti i lavori se c’è professionalità anche le difficoltà si superano. A questo proposito, dobbiamo sottolineare l’impegno delle scuole che formano i giovani imprenditori nell’ambito dei preziosi, che pagano purtroppo lo scotto di essere troppo poche».  

«Chi “lascia” non deve vivere il passaggio come uno strappo… Chi “riceve” dovrebbe avere la serenità di lasciarsi consigliare senza farsi pervadere da supponenza e arroganza»

Candido Operti
Antica Orologeria Candido Operti

Candido e Costanza Operti

«La nostra azienda tra pochi mesi compirà 120 anni. Abbiamo già vissuto 3 passaggi generazionali da quando mio nonno Candido, nel 1903 fondò il nostro brand. Serve molta pazienza ma ancor più buon senso da ambo le parti: chi “lascia” non deve vivere il passaggio come uno strappo o una privazione e non deve entrare a gamba tesa nelle decisioni di chi subentra, criticandole. Chi “riceve” dovrebbe avere la serenità di lasciarsi consigliare senza farsi pervadere da supponenza e arroganza. Tra me e mia figlia Costanza tutto è avvenuto in modo molto fluido e rispettoso. Certo, il rapporto padre-figlia forse aiuta a distendere gli animi perché privo di un potenziale elemento di attrito che è la competizione tra uomini. Io provo grande soddisfazione nel vedere che mia figlia segue le mie orme. Il nostro è l’esempio di come “educazione-formazione” e “cultura” permettano di affrontare il passaggio di testimone quasi come fosse una prosecuzione dell’attività. In azienda, oggi, la parte direzionale e organizzativa sono in mano a Costanza, così come quella legata al digitale. Lei ha la pazienza di spiegarmi cose per me incomprensibili e io la supporto consigliandola, forte dell’esperienza e dell’intuito sviluppato in tantissimi anni di attività. Non va poi dimenticato il cliente: i nostri hanno con me un rapporto che potrei definire di amicizia e voglio che la stessa empatia la costruiscano con Costanza che, dopo la laurea in Bocconi, ha manifestato interesse verso l’azienda, ed è subito stata inserita. Carlotta invece si occupa di architettura  e io sono felice anche del rapporto stretto che c’è tra loro».

«Per affrontare il passaggio generazionale senza strappi, è necessario coinvolgere sempre, e fin dal principio, i giovani nelle dinamiche aziendali»

Stefania Midolo
Midolo Gioielli

Noemi con Stefania e Marilena Midolo

La vostra è una storia che parla di sete di indipendenza imprenditoriale e di come la creazione di uno spin off aziendale possa essere un’ottima strada da seguire.

«Si, di fatto io e mia sorella, forti delle conoscenze acquisite nell’impresa di mamma e papà, abbiamo aperto un’azienda distaccata. La nostra storia sottolinea l’importanza della fiducia che deve esistere tra le generazioni durante il passaggio di testimone. I miei genitori, negli anni ’70, diedero vita ad un’attività imprenditoriale legata all’importazione di diamanti e pietre preziose. Io e mia sorella Marilena, abbiamo respirato il mondo delle fiere e dei gioielli fin da piccoline, seguendo mamma e papà, che ci invitavano ad assorbire il più possibile da ogni opportunità formativa. A 22 anni, dopo gli studi d’arte, ho comunicato ai miei che volevo aprire un piccolo atelier nel quale produrre gioielli unici, che trasmettessero la cultura e le tradizioni antichissime della nostra Sicilia. Mi hanno dato fiducia, mi hanno supportato nell’acquisto dei primi macchinari per la microfusione e io mi sono buttata anima e corpo in questo mondo, frequentando anche i vecchi laboratori per apprendere le tecniche più antiche della lavorazione artigianale dei preziosi. Questo percorso l’ho fin da subito condiviso con mia sorella Marilena che, dopo il corso GIA di gemmologia, è diventata la mia partner. In tutto questo i nostri genitori sono stati indispensabili perché ci hanno supportato, ci hanno spronato a non mollare, ci hanno anche sempre lasciate libere di fare esperienza e, in alcuni casi, di sbagliare. Dagli errori si impara sempre. La stessa determinazione che ci ha spinte a portare avanti questa avventura, la rivedo nelle nostre figlie che sono parte integrante del team: seguono i social, ci aiutano ad analizzare le tendenze e le richieste dei clienti con occhi diversi, con energia contagiosa, sono molto attente alle tendenze e studiano il passato. Non siamo una gioielleria, lavoriamo tutto a mano e portare avanti un’attività come questa è faticoso e richiede formazione “sul campo”. Per affrontare il passaggio generazionale senza strappi, è necessario coinvolgere sempre, e fin dal principio, i giovani nelle dinamiche aziendali. Devono acquisire consapevolezza e dimestichezza con la materia. Entrambe le generazioni coinvolte devono assumersi le proprie responsabilità, aprirsi al confronto e contribuire allo sviluppo di capacità e coscienza imprenditoriale». 

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