Andrea Buccellati, imprenditore artista

“Ad oggi sono circa 50 i monomarca nel mondo, ne apro pressappoco due al mese e, come immagino, se ne aggiungeranno altri”

Mario ha fatto scuola. Ha definito un tipo di gioielleria che si muove per il mondo con la naturalità dell’aria. È il dominus, ed ha esordito nella vita professionale inseguendo una vocazione senza nessuna rete di protezione – ad appena 19 anni rileva la Beltrami e Besnati (dove è andato a bottega e si è impadronito dell’arte orafa in cui riuscirà magistralmente), proprio nel cupo tempo interbellico, quando le vite di tutti erano scompaginate e ogni cosa sembrava infattibile. Nondimeno ha dato il “là” a ciò che oggi è: Buccellati. Non c’è bisogno di aggiungere altro.

Maria Rosaria Petito e Andrea Buccellati nello showroom milanese della Maison

Un grande lascito con sogni di grandezza che suo figlio Gianmaria ha conformato al proprio dinamismo.
Generazioni diverse eppure allineate sulla scelta stilistica e su cambi di registro, oltre che sulla trasmissione di responsabilità.
Un credo, una storia. Una famiglia. Sulla sua strada membri delle case regnanti, pontefici e personaggi di cultura (la straordinarietà del suo stile stregò anche Gabriele D’Annunzio che entrò in stretta amicizia con Mario, definito acutamente dal Vate il “Principe degli orafi”).

È questo il contesto in cui nasce Andrea (presidente onorario e direttore creativo della Maison). Un privilegio, certo, che lo ha predestinato al mondo dell’alta gioielleria, ma anche dimostrazione che non si ricopre una posizione di prestigio solo perché figlio di. Andrea è un uomo che ha destrezza con le leve del marketing, confidenza con l’arte orafa (è lui che disegna, insieme a sua figlia Lucrezia, co-creative designer), e un’energica positività come mantra.

Per i Buccellati non si è mai messa in moto la macchina del caso, tutto è stato tenacemente voluto e tutto è stato conquistato senza perdere di vista le radici (il manifesto della loro vita professionale). Andrea lo racconta in modo trasparente, con franchezza. “Non lasciamo che le cose accadano. Non ricordo momenti di crisi che meritino attenzione né ne vedo nel prossimo futuro. – il tono fermo ritorna nel nostro dialogare e immagino sia proprio dei Buccellati – E neppure raccolgo sfide. Il marchio si muove su basi solide, molto forti per spingersi lontano, cosa che oltretutto fa da oltre 100 anni”. Con inscalfibile arguzia precisa “Ad oggi sono circa 50 i monomarca nel mondo, ne apro pressappoco due al mese – è un’azienda in continua espansione – e, come immagino, se ne aggiungeranno altri nel tempo, il che è quasi una consuetudine”.

Buccellati è tra le Maison più longeve, più eminenti e diffuse al mondo. Per Buccellati è casa l’Asia, l’Europa, gli Stati Uniti… Ma a cosa si deve questo successo?
“All’eleganza del prodotto, che domina anche le linee più minimaliste disegnate da mia figlia Lucrezia, alla qualità delle materie e ad una attività artigianale autentica che non ammette imprecisioni”. Un valore che torna puntuale in ogni creazione. Tutte queste qualità gli sono riconosciute come simbolo di esclusività.

I ragazzi che più tardi incontro nel grande laboratorio (diviso per settori) sono la riprova della sua asserzione. Fanno parte dell’accordo di partnership con la Scuola Orafa Ambrosiana per la formazione di nuove leve – 12 allievi tra i più talentuosi selezionati dalla SOA e dalla Maison – che dopo il completamento dei corsi di specializzazione vengono inseriti in una sede dell’Azienda, o in una delle Società del Gruppo svizzero Richemont, a cui Buccellati appartiene dal 2019.
Lavorano a banchetto, proprio come nelle antiche botteghe orafe, in spazi condivisi. Ognuno è intento con estrema disciplina su una specifica fase, l’incisione a bulino ad esempio, quel graffio che genera il rigato dall’effetto serico a gran parte dei lavori del marchio: tantissime linee, sottili all’inverosimile, fitte fitte le une accanto alle altre, fatte a mano con precisione chirurgica e pazienza certosina. Un raschiare appena percettibile, ripetuto infinite volte in quest’atmosfera di assoluta concentrazione.

Ogni reparto ha i suoi preposti, sono tanti, eppure l’attesa per la consegna di un gioiello può non essere breve.
“Abbiamo clienti su tutto il globo, ci scelgono per la lavorazione che sanno essere totalmente fatta a mano, un pregio che richiede tempo, a volte lunghissimo perché anche il più piccolo dettaglio ha il suo significato nella totalità. – Non senza una certa fierezza aggiunge – Proprio adesso stiamo realizzando una collana che per la sua particolarità non potrà essere ultimata prima di un anno”.

Per questi giovani il master è l’opportunità di imparare un mestiere e di specializzarsi, per il marchio è il presupposto per assicurarsi la continuità di arti che potrebbero essere dimenticate o perse. “La scomparsa di queste tradizioni segnerebbe un punto di non ritorno nella memoria dei maîtres joailliers, da qui la necessità dell’apprendimento e delle conoscenza proprio per mettere in sicurezza un capitale ineguagliabile”.

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Già, la memoria, ovvero, la sedimentazione di esperienze che hanno creato quell’identità da conservare e da trasmettere. Un passato gigantesco che deve ritornare e che ritorna con la “Fondazione Gianmaria Buccellati”.

“…È una grande gioia condividere la propria passione con il mondo”, sosteneva Gianmaria Buccellati. Ed è il motivo per cui, 2008, istituì a Venezia la Fondazione che porta il suo nome, e che continua tuttora a farsi promotrice dei valori estetici, del saper fare e della storia Buccellati a livello planetario. Non persegue fini di lucro ma ha per scopo la conservazione e la diffusione del suo patrimonio artistico, lo studio, la ricerca e la difesa delle tecniche orafe e incisorie dei secoli XVI, XVII e XVIII, nonché la catalogazione e lo studio di parte dei disegni di Mario e Gianmaria Buccellati e di documenti a essi riconducibili, uno straordinario (e raro) esempio di cultura d’impresa destinato a consegnare ad un futuro non soltanto prossimo il nome Buccellati.

“Ognuno è un elemento dal quale questo grande racconto non può prescindere. È un capitale universale per bellezza e per tecniche, le coppe, ad esempio, sono state realizzate secondo gli identici procedimenti utilizzati per quelle ritrovate negli scavi di Pompei e che prima di mio padre erano creduti impercorribili”.

Sono testimonianze di buone pratiche opposte alla inconsistenza delle serialità, e della tirannia tecnologica. Elogio di un tempo a cui avvicinarsi a passo lento. “La fondazione è un’esortazione alla crescita del sistema valoriale del Made in Italy, un esempio di coerenza, consapevolezza e responsabilità”. Tiene a sottolineare.

La Maison Buccellati ha allargato il suo alto artigianato anche alla mise en table, i servizi di posate sono apprezzati in tutto il mondo.

Lungimiranza, ma anche pluralità di punti di vista: Buccellati ha allargato il suo alto artigianato anche alla mise en table, e con eguale perizia. Siamo nello show room, un vero tempio del lusso e con tanta luce perché nulla sia in ombra.
Prende una forchetta dalla cassettiera in legno e si attarda sul peso del metallo, lo saggia con perizia di gesto e mi invita a fare lo stesso precisando “è tutto argento pieno”. E sfiorando con l’indice il decoro sull’impugnatura, un bassorilievo a tutti gli effetti, aggiunge con passione “come per i gioielli la ricerca della simmetria e la definizione delle proporzioni sono cruciali. Qui tutto è un rito”.

Collana ombelicale vintage disegnata da Mario Buccellati nel 1930, in argento e oro giallo con 74 lapislazzuli

Mi ruba lo sguardo lo sferzante blu di un sautoir. “Questa è una collana ombelicale vintage disegnata da mio nonno nel 1930 – mi spiega – ed è così chiamata per la generosa lunghezza, ingentilita da un pendente. È in argento e oro giallo con 74 lapislazzuli”. Parla con il trasporto di un mecenate, ed a ragione, ogni oggetto entra di diritto in quel confine di classe che continua a caratterizzare la Maison con rimembranze rinascimentali: la lavorazione a pizzo, a tulle e a nido d’ape, con gemme incastonate in lastre d’oro, spesso bianco e giallo in dialogo, che imprigiona e separa vuoti e colori in quel déjà-vu che rende immediatamente riconoscibile il nome e che un progetto di recupero coopera a dare seguito.

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