Venustas. A Pompei è di scena la bellezza


A Pompei nella Palestra Grande, dopo il blocco del lockdown riprende in sicurezza (rispettando la distanza fisica di 1,50 metri e l’uso della mascherina) la programmazione delle esposizioni che mettono in luce la bellezza dei reperti della città sepolta. In linea diretta con la precedente mostra “Vanitas”, fino al 31 gennaio 2021 sarà visitabile “Venustas. Grazia e bellezza a Pompei”: dai trucchi agli specchi, dagli amuleti ai gioielli attraversando un percorso che introduce all’ideale di bellezza e perfezione che nell’antichità (come oggi) occupava un posto importante nella vita quotidiana.

Diadema con oro e perle ornamentali ©luigispina

In latino, il termine Venustas indica la bellezza, la grazia, l’eleganza e il fascino, un mondo di accezione prevalentemente femminile che immerge i visitatori in quelli che erano i gusti estetici di quegli antichi abitanti che si avvicendarono per quelle vie di Pompei e degli agglomerati limitrofi, dal VIII secolo a.C. fino alla data fatidica del 79 d.C.

due spille in bronzo, ambra e osso – dal villaggio protostorico di Longola a Poggiomarino (Na) ©luigispina

Rinvenuti nei vari siti del Parco Archeologico di Pompei (dal villaggio preistorico di Poggiomarino alle necropoli protostoriche di Striano, dalle ville di Oplontis fino all’abitato dell’antica Pompei), sono 300 i reperti che compongono la ricca esposizione che offre uno sguardo completo su quelle che erano le abitudini quotidiane legate al mondo dell’estestica.

Anello in oro con filo godronato e perla ©luigispina

In 19 vetrine si snoda un percorso in ordine cronologico, partendo dagli ornamenti protostorici dall’Età del Bronzo a quella del Ferro (XV-VII sec. a.C.) fino ad arrivare ai ricchi ornamenti del I secolo d.C. che rappresentarono dei veri e propri capolavori la cui realizzazione fu favorita dalle leggi promulgate dall’imperatore Augusto con le quali si concedeva la libertà di gestione del patrimonio alle spose fedeli e fertili, che poterono così dedicare maggiore attenzione al proprio aspetto, sia attraverso l’uso della cosmesi che degli ornamenti.

Bracciale in oro con due teste di serpente che reggono un medaglione con la Dea Selene – Casa del Bracciale d’Oro, Pompei (Na) ©luigispina

Negli spazi della Palestra Grande si ammirano così oltre ai gioielli, i profumi (il cui costo era elevatissimo e proprio per questo rappresentava un simbolo di lusso da ostentare), le statuette di divinità ornate anch’esse di gioielli, set da bagno, specchi d’argento e bronzo per ammirarsi, spatole e strumenti vari usati per amalgamare le sostanze cosmetiche.

Unguentario in vetro blu con striature biabche e decorazione in oro – Pompei (Na) ©luigispina

Specchio in argento a forma di stella ©luigispina

Protagonisti per la loro quantità sono gli Ori provenienti proprio da Pompei, anelli, bracciali, collane ed armille come quelle ritrovate su alcuni corpi di vittime dell’eruzione, tra cui spicca quella con la scritta “Dominus ancillae sua” dono di un padrone alla propria schiava, proveniente da Moregine, la periferia meridionale della città.

Quattro strigili in bronzo con manico decorato ©luigispina

Massimo Osanna

In questa mostra «Si raccontano storie di vite quotidiane, dove le donne hanno sempre svolto un ruolo legato alla loro sociabilità alla loro presentabilità – racconta il direttore generale del parco archeologico di Pompei Massimo Osanna –. Oggi, molti oggetti escono dai depositi per la prima volta e ci consentono di ricostruire e raccontare di contesti e biografie di persone scomparse, e non è un caso che l’esposizione si chiuda con il calco di fanciulla realizzato nel tardo Ottocento. L’immagine emblematica ed iconica di una giovane donna rinvenuta lungo la via Stabiana mentre tentava di sfuggire alla morte».

Collana in oro a maglie con smeraldi, perline e pendente (lunula). Da Pompei, Praedia di Iulia Felix ©luigispina

«È un itinerario – continua Osanna – che parte dalla sfera del sacro per far comprendere come i gioielli offerti alle divinità diventino uno strumento di definizione dell’offerente fino ai reperti d’uso comune per la cura del corpo, alle ricche parure di gioielli, e agli amuleti, che rivelano pratiche mediche che sconfinano nei riti magici. Ma la bellezza fisica che, come ci ricorda Ovidio, è destinata ben presto a sparire, non è l’unico tipo di bellezza indagata in questo percorso: le statue delle muse Polymnia, la musa della poesia sacra ed Erato, la musa della poesia amorosa dalla Casa di Loreio Tiburtino, ci ricordano la “bellezza della mente” e l’importanza di avere uno spirito saldo, che faccia da sostegno alla bellezza perché “solo lo spirito rimane intatto fino alla morte”».

Unguentario(aryballos) in vetro con elementi in bronzo per sospensione ©luigispina

 

www.pompeionline.net

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