Il diritto comunitario in materia di libera circolazione degli oggetti in metalli preziosi all’interno dell’UE

Non essendo stato possibile raggiungere, nonostante due tentativi e anni di trattative, un accordo tra gli Stati membri su una proposta di direttiva che armonizzasse le diverse normative nazionali che disciplinano la produzione e la marchiatura degli oggetti in metalli preziosi, la libera circolazione all’interno dell’Unione Europea dei prodotti del settore orafo-argentiero (come delle altre merci per le quali non vi sia stata una armonizzazione) è garantita dal principio del “mutuo riconoscimento”.

Il principio del “mutuo riconoscimento”

Si tratta di un principio generale, secondo il quale ogni Stato membro è tenuto ad accettare i prodotti legalmente fabbricati o commercializzati in qualsiasi altro Paese comunitario, anche se tali prodotti rispondono a prescrizioni tecniche parzialmente diverse da quelle imposte dalle regolamentazioni dello Stato importatore, che deriva dall’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 34 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Il principio fu, infatti, enunciato per la prima volta dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella famosa sentenza del 20 febbraio 1979 (causa 120/78, Rewe-Zentral), in cui la Corte si espresse contro la pretesa del governo tedesco di tutelare la salute della propria popolazione, vietando la circolazione sul territorio del Cassis de Dijon, un alcolico a bassa gradazione di produzione francese. In quella circostanza la Corte affermò che, in linea di massima, qualsiasi prodotto fabbricato e commercializzato all’interno di uno Stato membro dell’Unione Europea potesse essere venduto in un altro.

Successivamente, con altre sentenze, la Corte ha via via dato concreta applicazione a tale principio per i diversi settori merceologici interessati.

Per quanto attiene lo specifico comparto degli oggetti in metalli preziosi, le principali pronunzie cui bisogna far riferimento sono:

22 giugno 1982causa C-220/81Robertson;
15 settembre 1994causa C-293/93Houtwipper;
14 giugno 2001causa C-84/00Commissione vs Francia;
21 giugno 2001causa C-30/99Commissione vs Irlanda;
8 luglio 2004causa C-166/03Commissione vs Francia;
16 gennaio 2014causa C-481/12Juvelta;
22 settembre 2016causa C-525/14Commissione vs Repubblica Ceca.

Il mutuo riconoscimento per gli oggetti in metalli preziosi

Sulla base di queste pronunzie della Corte di Giustizia, si possono desumere i seguenti principi:

  1. dal momento dell’art. 36 TFUE costituisce una deroga alla regola fondamentale secondo cui tutti gli ostacoli alla libera circolazione delle merci tra Stati membri devono essere eliminati, le eccezioni ivi elencate non possono essere estese a casi diversi da quelli specificamente previsti. Poiché né la tutela dei consumatori né la correttezza delle transazioni commerciali sono incluse tra le eccezioni di cui all’articolo 36, questi motivi non possono essere invocati in quanto tali in relazione a tale articolo. (Caso 113/80);
  2. non costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni, ai sensi dell’articolo 34 del TFUE:
    • una normativa nazionale che vieti la vendita di oggetti di metallo prezioso che non rechino un marchio indicante il titolo in accordo a tali norme, qualora tali articoli non rechino già l’indicazione del titolo, secondo quanto prescritto dalla legislazione dello Stato membro di esportazione, contenente informazioni equivalenti a quelle fornite dai marchi previsti dalla normativa dello Stato membro di importazione e che siano comprensibili ai consumatori in tale Stato membro (Caso 293/93);
    • una normativa nazionale che imponga l’apposizione del marchio da parte di un organismo indipendente e vieti la commercializzazione di oggetti in metallo prezioso importati da altri Stati membri, qualora non siano stati effettivamente marchiati da un organismo indipendente nello Stato membro di esportazione (Caso 293/93);
    • norme nazionali che vietino la vendita di oggetti argentati non muniti di un marchio secondo quanto dalle stesse previsto, anche se, nello  Stato membro di provenienza possano essere legalmente commercializzati, purché tali articoli non siano stati già marchiati, conformemente alla legislazione dello Stato membro di esportazione, con un marchio contenente informazioni equivalenti a quelle fornite dai marchi prescritti dalla normativa dello Stato membro di importazione e comprensibili per i consumatori di tale Stato. (Caso 220/81);

Spetta al giudice nazionale accertare se esista o meno l’equivalenza del contenuto informativo dei marchi, in base ai criteri interpretativi specificati dalla Corte.

  1. costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni, ai sensi dell’articolo 34 del TFUE:
  • a) una legislazione nazionale la quale prescriva che gli oggetti in metalli preziosi importati da un altro Stato membro, su cui un organismo che offra garanzie di indipendenza abbia già apposto un marchio, previsto dalla normativa di quello Stato, il quale fornisca al consumatore informazioni adeguate, debba, comunque, portare un marchio approvato dalla competente autorità nazionale o un marchio previsto da una convenzione internazionale di cui lo Stato membro di destinazione sia parte (Caso 30/99);
  • b) una normativa nazionale che imponga che gli oggetti di metallo prezioso importati da un altro Stato membro e immessi sul mercato nel territorio nazionale rechino un marchio di responsabilità registrato presso l’autorità nazionale competente, qualora tali oggetti rechino già un marchio di responsabilità conformemente alla legislazione dello Stato membro di origine (Caso 30/99);
  • c) una normativa nazionale che non riconosca il marchio di garanzia apposto da un ente che offre garanzie di indipendenza di un altro Stato membro sugli oggetti di metalli preziosi prodotti in uno Stato terzo. (Caso 525/14);
  • d)una normativa nazionale che vieti la commercializzazione, con la descrizione e l’indicazione del titolo che recano nel loro paese di origine, di oggetti di metalli preziosi legalmente fabbricati e commercializzati in altro Stato membro, ma non conformi alle disposizioni nazionali in materia di titoli legali, salvo che i marchi apposti su siffatti oggetti importati non siano sostituiti da quelli relativi all’adeguato titolo legale nazionale inferiore (Caso 30/99);
  • e) una normativa nazionale che preveda che, per essere commercializzati sul territorio nazionale, gli oggetti in metalli preziosi importati da un altro Stato membro, in cui la loro commercializzazione sia consentita e che siano stati contrassegnati con un marchio di garanzia secondo la legislazione di tale Stato membro, qualora le informazioni relative al titolo su tale marchio non siano conformi ai requisiti prescritti nello Stato membro d’importazione, debbano essere nuovamente contrassegnati da un organismo di controllo indipendente, autorizzato da quest’ultimo Stato membro, mediante un marchio di garanzia che confermi che tali oggetti sono stati controllati e ne indichi il titolo conformemente ai requisiti di cui sopra (Caso 481/12);
  • f) una normativa nazionale che riservi il termine ‘oro’ per gli oggetti a titolo 750 ‰ o superiore, mentre quelli ad un titolo inferiore, sebbene commercializzati negli Stati membri di origine con la denominazione ‘oro’, debbano essere definiti come oggetti in ‘lega d’oro’, meno attraente per i consumatori (Caso 166/03);
  • g) una normativa nazionale che vieti la commercializzazione di oggetti in metalli preziosi a titolo 999 ‰ provenienti da altri Stati membri, in cui siano legalmente fabbricati e commercializzati (caso 84/00);
  • h) una normativa nazionale che differenzi i marchi di garanzia apposti sugli oggetti di fabbricazione nazionale da quelli previsti per gli oggetti importati da altri Stati membri (Caso 30/99);
  • i)una normativa nazionale che obblighi gli oggetti in metalli preziosi importati da un altro Stato membro a recare un’indicazione di origine o la parola “estero” (causa 113/80);
  • j) una normativa nazionale che vieti la commercializzazione di oggetti in metalli preziosi che non rechino un marchio indicante l’anno di fabbricazione, qualora tali articoli possano essere liberamente commercializzati senza tale indicazione nello Stato membro, da cui sono stati importati (Caso 293/93).

Alla luce di tale interpretazione giurisprudenziale dell’art. 36 del TFUE, gli oggetti in metalli preziosi prodotti e/o commercializzati in Italia conformemente alla nostra vigente normativa in materia, possono essere liberamente commercializzati:

  • nei Paesi che abbiano un sistema di controllo «a posteriori» o un sistema di controllo «a priori» facoltativo, purché rechino impressi il marchio di identificazione del produttore o importatore e l’indicazione del titolo;
  • nei Paesi che abbiano un sistema di controllo «a priori», purché rechino, oltre i due marchi già ricordati, anche il marchio del saggio facoltativo (Italia turrita).

Eventuali ostacoli o divieti costituirebbero, infatti, infrazioni al principio comunitario della libera circolazione delle merci (art. 36 Trattato), contro cui è possibile ricorrere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Ciò nonostante, attualmente i prodotti italiani marchiati con l’Italia turrita sono accettati solo in Francia e Romania.

Molti Stati membri hanno, infatti, conservato norme e procedure in contrasto con tale principio ma gli alti costi di un ricorso alla Corte di Giustizia scoraggiano le imprese dal promuovere azioni per far valere i propri diritti in tale sede.

– In verde: Paesi con sistema di controllo “a posteriori” o “a priori” facoltativo
– In arancione: Paesi con sistema di controllo “a priori” obbligatorio

RIQUADRI

I TENTATIVI DI DIRETTIVA

Due sono stati, finora, i tentativi di giungere ad una Direttiva armonizzatrice: il primo nel 1975, con il Documento COM(1975) 607 “Proposta di direttiva del Consiglio per il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai lavori di metalli preziosi”, presentato il 1° dicembre 1975 e ritirato il 22 dicembre 1977; il secondo nel 1993, nell’ambito della realizzazione del mercato unico interno, con il Documento COM(93) 322 def. “Proposta di direttiva del Consiglio per il riavvicinamento delle legislazioni, regolamentazioni e disposizioni amministrative degli Stati membri relative ai lavori di metalli preziosi”, presentato dalla Commissione il 14 ottobre 1993 e definitivamente ritirato, dopo oltre undici anni di vane trattative, il 24 marzo 2005.

ARTICOLO 34 TFUE

L’art. 34 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea recita: “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente” ed è in vigore dal 2009.

Il testo riproduce l’identica disposizione dell’art. 28 del Trattato che istituisce la Comunità Europea (1997), il quale, a sua volta, ripete, sebbene con una diversa formulazione, quanto già previsto dall’art. 30 del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (1957).

ARTICOLO 36  TFUE

L’art. 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea recita: “Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.”

Il testo riproduce l’identica disposizione dell’art. 30 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, il quale, a sua volta, ripete, sebbene con una diversa formulazione, quanto già previsto dall’art. 36 del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea.

Stati membri con sistema di controllo “a posteriori” o “a priori” facoltativo

Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Slovenia, Svezia

Stati membri con sistema di controllo “a priori” obbligatorio

Bulgaria, Cipro, Croazia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Spagna, Ungheria

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