Giampiero Alcozer: un uomo-artista che scrive fiabe con la materia

Delle brutture dell’umanità, di quelle tensioni che agitano il mondo e tolgono il sonno, l’arte è il suo contrario. Non se ne svincola, non si distacca dalla realtà, ma ne attutisce i colpi, ne spezza la durezza con l’immaginazione. È la sensazione che ti coglie varcando la soglia della manifattura Alcozer, un dedalo di stanze cariche di cose, perle, catene, pietre dure, attrezzi, disegni…, che danno forma (o caos) all’autenticità di un luogo dove l’artigianato esprime il suo più alto significato di libertà. George Gershwin sosteneva che la vita, come il jazz, viene meglio se si improvvisa e Giampiero sembra essere la massima espressione di quel pensiero, di quella schiera dei ‘faccio da me’: da giovanissimo ha lasciato Roma per trasferirsi a Firenze (che sia toscano di adozione lo tradiscono la c, poco o niente aspirata, e le consonanti che ancora oggi non raddoppia) per fare quello che voleva fare, all’epoca ancora poco chiaro.

Giampiero Alcozer e Maria Rosaria Petito

Prima la chitarra, poi i lavori più svariati insieme ai viaggi in paesi lontani di cui ha assimilato la cultura, e alla frequentazione dei mercatini di antiquariato, una vera passione. Qui compra stranezze e le ricompone in oggetti facilmente rivendibili. Ha imparato da solo rubando il mestiere a chi maestro già lo era. Indocile, eppure fortemente legato agli archetipi della tradizione. Niente sembra troppo facile a farsi e che fosse qualcosa di diverso dal resto me lo conferma confidandomi: “La fantasia è libera ma tutte le forme sono fatte a cera persa, un pilastro intoccabile”.

La conoscenza delle tecniche orafe, dunque, le ha apprese per trasporto e quando il lavoro è aumentato si è contornato di giovani designer mettendo su un grande laboratorio, in via dei Rustici. Ma è solo l’inizio di un ottimo percorso se si guardano i risultati: oggi Alcozer è il nome importante di una ditta specializzata nella bigiotteria di lusso, i negozi monomarca in Italia e all’estero sono il seguito di una storia che guarda solo avanti, verso un orizzonte che non si raggiunge perché il bello è proprio non fermarsi mai – a Natale inaugurerà un nuovo store, molto diverso dai precedenti, in pieno centro città, tutto nero, dal forte spirito identitario, il nome è già una rivelazione: Giampiero Alcozer. Sarà rappresentativo della sua personalità perché, come lui stesso dice,

Il lavoro deve divertire e io mi diverto tanto. Mi gratifica perché le mie sculture significano qualcosa, parlano, possiedono un altro valore oltre quello estetico”.

Oggi è in via Mannelli. Ed è qui che lo incontro per una chiacchierata. Mi accoglie come immaginavo, informale, disinvolto – è davvero così, niente di costruito – e quello che piace è il rapporto con i collaboratori: amichevole. È un artista orafo che vive il proprio tempo, infiammato dall’interpretare la natura che trasfigura con audacia, a volte con ironia, ma in pieno rispetto. Un carattere di rottura, fuori dal comune, dallo stile libero e un preciso compito: conservare la memoria. Ne sente la responsabilità, quasi un debito di riconoscenza mentre fuori tutto scorre senza lasciare traccia.

È la persona a cui si può chiedere tutto ma non ce n’è bisogno. Le parole di Giampiero scorrono come un fiume, e quello che vorrei sentirmi dire e quello che dice è impossibile da sintetizzare. Mi racconta delle collezioni, sempre diverse perché attraversate da quell’immaginario a cui ci ha abituati. C’è da perdersi, come quando mi mostra lavori il cui oggetto di osservazione è la cinematografia – già un indizio – deliziosi diorami tridimensionali dall’interessante analisi prospettica. Gli dà contenuti affollandoli di dettagli e di una miriade di personaggi che è improbabile non riconoscerne il film che li ha ispirati – di Titanic addirittura ha fatto due versioni, una prima e una dopo l’impatto, con tanto di iceberg: un grande quarzo color acquamarina.

“Lo senti il profumo del cioccolato?” mi chiede porgendomi un ciondolo che riprende il famoso film di Tim Burton, film che non ho visto ma quel gioiello è un momento narrativo ben preciso, pieno di sorprese, e mi incuriosisce.

Un altro esempio della sua inesauribile realtà surreale e visionaria. Ma poco colorata. Già, perché usi così pochi colori? “Le mie creazioni sono molto materiche – è il caso di dirlo – (ottone dorato e argento, prevalentemente). Sono immagini di sogni e i sogni non si ricordano per le tinte forti ma per le emozioni che ti lasciano. Quando il colore c’è sono piccole presenze, rubini, smeraldi… ma così incredibilmente presenti che anche una sola pietra in più ne modificherebbe la magia”.

Come vanno gli affari è un interrogativo superfluo e la risposta arriva senza nemmeno formulare la domanda. “Oggi qui lavorano sei mani e una testa, la mia. Si va a gonfie vele, vendo in tutto il mondo – anche dai mercati esteri arriva grande stima che gli riconosce il valore della originalità – e non faccio più fiere, da un bel po’. Non ne sento il bisogno”.



Lo ha detto molto chiaramente: “Sono felice, molto felice”. È il suo modo di guardare al lavoro, forse non l’unico ma sicuramente vero.
Una felicità contagiosa che rilassa, e non per la questione economica, che, sì, è di grande rilevanza, ma perché fa quello che gli piace e alla gente piace quello che piace a lui. Non è il primo né sarà l’ultimo a dare un’anima ai propri oggetti, ma quell’anima c’è davvero e quando te li descrive con gli occhi che gli brillano, lo avverti.

Qui è tutto molto naif ma si procede per punti precisi perché anche l’immaginazione deve seguire una strada per non perdersi. Una via sconosciuta ai più, ora panoramica, ora angusta e dissestata, sicuramente poco battuta da passi ordinari. Disegnata giorno dopo giorno. Non c’è un solo gioiello uguale all’altro – non nascondo la sorpresa – sono tutti pezzi unici. Hanno alfabeti contrapposti, un che di innocente, qualcosa di dark e un senso di mistero quando tiro in ballo ragni e teschi. Mi piace che anche chi mi conosce vi trovi dell’inaspettato.”

Riflette e un momento dopo conclude dicendo “Do il meglio di me, ma me ne rendo conto solo quando vedo il lavoro ultimato”.


Giampiero Alcozer, a man/artist who writes fairy tales with matter
…And rationality gives way to intuition

Of the ugliness of humanity, of those tensions that agitate the world and take away sleep, art is its opposite. It does not detach itself from it, does not detach itself from reality, but cushions its blows, breaks its harshness with imagination. This is the feeling you get when you cross the threshold of Alcozer’s manufactory, a maze of rooms laden with things that give shape (or chaos) to the authenticity of a place where craftsmanship expresses its highest meaning of freedom.
As a very young man, Giampiero left Rome to move to Florence to do what he wanted to do, still unclear at the time. First the guitar, then a variety of jobs along with travels to distant countries whose culture he assimilated, along with frequenting antique markets, a true passion.Here he buys oddities and reassembles them into easily resalable objects. He taught himself by stealing the trade from those who were already masters.Indocile, yet strongly tied to the archetypes of the traditional.Nothing seems too easy to make, and that he was something different from the rest he confirms by confiding to me, “The imagination is free but all the forms are made by lost wax, an untouchable pillar.”

Knowledge of goldsmithing techniques, therefore, he learned them by transportation, and when the work increased he surrounded himself with young designers by setting up a large workshop: today Alcozer is the important name of a firm specializing in luxury costume jewelry. “Work must be fun, and I have a lot of fun” says Giampiero, “It gratifies me because my sculptures mean something, they speak, they possess another value besides the aesthetic one”.
Today he is on Mannelli Street. And it is here that I meet him for a chat.

His words flow like a river. He tells me about the collections, which are always different because they are crossed by that imagery to which he has accustomed us: “My creations are very material – it has to be said – (golden brass and silver, mainly) They are images of dreams and dreams are not remembered for the strong colors but for the emotions they leave you with.
When the color is there they are small presences, rubies, emeralds … but so incredibly present that even one more stone would change the magic.”

Everything here is very naïve but we proceed by precise points because even the imagination must follow a path in order not to get lost. A path unknown to most, now scenic now cramped and bumpy, surely little traveled by ordinary steps. Drawn day by day.
“Not one jewel is the same as another – I don’t hide my surprise – they are all unique pieces. They have contrasting alphabets, something innocent, something dark and a sense of mystery when I bring up spiders and skulls”.

I like that even those who know me find the unexpected in them. “He reflects and a moment later concludes by saying, “I give my best, but I only realize it when I see the finished work.”

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