Amlè, un senso di connessione con il passato

…e quindi uscimmo a riveder le stelle

Le stelle in argento 800 brunito o dorato, ricavate a mano dagli stampi antichi della Stella Maris a otto punte, ritornano protagoniste nella nuova collezione.

C’è una creatrice, Marisa Angelucci, c’è una spinta creativa, e c’è un’idea: la stella, che splende mescolandosi alla sovrarappresentazione di elementi indipendenti che hanno a che fare con il folclore, con il sacro, con il profano. Le affinità tra di essi sono poche ma è sorprendente come si completano attraverso la (strana) connessione con cui Marisa li tiene insieme, e ogni colore, ogni presenza, superflua e fondamentale insieme, ha un senso. Marisa fotografa le contraddizioni di una Napoli che tracima di favoleggiate credenze, quelle che neppure sappiamo immaginare. Eppure sono lì, palpabili e potenti come riserve di meraviglie in questi miscugli di cose rare più che preziose, memorie visive in cui la Angelucci riconosce storie nascoste e autenticità con acutezza da vera antiquaria (la sua precedente vita) portandosi oggi come ieri nei mercatini di ogni dove. Le imperfezioni, i difetti e i segni sono qualità che mostra al meglio trattenendo quel vissuto genuino. Cose diverse ma con un identico destino: diventare pièce per intenditori. È il modus operandi, è la firma di Amlè, spesso pezzi unici. 

Già étoile di precedenti creazioni, le stelle – in argento 800 brunito o dorato, ricavate a mano dagli stampi antichi della Stella Maris a otto punte – ritornano protagoniste nella nuova collezione come antidoto contro le avversità, motivo di riscatto, luce invisibile della volontà (inevitabile il richiamo al verso dell’Inferno dantesco “e quindi uscimmo a riveder le stelle”). Non uno stile ma avventure estetiche come antitesi al minimalismo: mai niente di abbastanza estremo, mai niente di abbastanza eccessivo. È questo il suo segno.

“L’ispirazione viene dall’oggetto stesso che sa essere un catalizzatore di idee. Non un semplice strumento per raccontare altro, ma un’opera d’arte indipendente, svincolata da tutto, capace di evocare emozioni autentiche. Sono così gli oggetti del passato perché conservano un’anima vibrante, un’eco di storie vissute che si percepiscono come un sussurro che attraversa il tempo e la materia. E sono così i miei gioielli, pagine di un libro dimenticato, intrise di magia e di forza. È questa potenza, questa eco tangibile che trasforma il semplice in straordinario, un oggetto in eccezionalità”.  


Amlè, a sense of connection with the past

There is a creator, Marisa Angelucci. There is a creative drive, and there is an idea: the star. It shines while blending with an overabundance of independent elements—folkloric, sacred, and profane. Though seemingly disconnected, they are surprisingly cohesive through the (peculiar) connection Marisa weaves among them. Every color, every element—both superfluous and essential—has meaning.

Marisa captures the contradictions of Naples, overflowing with legendary beliefs, often beyond our imagination. Yet they are there—tangible and powerful—like reservoirs of wonder within these assemblages of rare (more than precious) things: visual memories where Angelucci detects hidden stories and authenticity with the trained eye of a true antiquarian—her former life. Even today, she explores flea markets everywhere, unearthing pieces marked by time. Imperfections and flaws become virtues, preserving a sense of raw authenticity. Different objects, all destined to become collector’s pieces. This is the modus operandi, the signature of Amlè—often one-of-a-kind pieces.

Stars—already the étoiles of previous creations—return as the protagonists in the new collection. Crafted by hand in aged or gilded 800 silver from antique molds of the eight-pointed Stella Maris, they serve as symbols of hope, resilience, and invisible inner strength (echoing Dante’s famous line: “and then we emerged to see the stars once more”). Amlè is not about style but about aesthetic adventures, the opposite of minimalism: never extreme enough, never excessive enough. That’s her signature.

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